Scrittori, attori, sportivi…c’era una volta un’elite
internazionale accomunata solo dal possedere (o desiderare) una Lancia.
Un’auto costruita in una fabbrica laboratorio di Torino e che aveva quel
non son so che di diverso dalle altre. Oggi ha cambiato nome e, sotto
le mentite spoglie della Chrysler, non sarà facile riconoscerla.
(articolo di Salvatore Tropea, apparso su Il Venerdì di Repubblica del 19 Aprile 2015)
Nel Romanzo della Costa Azzurra, Giuseppe Scaraffia racconta che Erich Maria Remarrque, celebre autore di
Arco di Trionfo e Niente di nuovo sul fronte occidentale, era il solo a poter entrare nella camera di
Marlen Dietrich
senza farsi annunciare. Anche per dichiararle con brutale candore che
era impotente; come fece una notte del 1939 in un lussuoso albergo del
Lido di Venezia e come la grande diva avrebbe avuto modo di constatare
in occasione degli incontri all’Hotel du Cap d’Antibes dove lui andava a
trovarla alla guida di una Lancia Dilambda di cui doveva essere
altrettanto innamorato, se è vero che quando le passava vicino “dava un
piccolo buffetto affettuoso alla carrozzeria”. Un gesto teneramente
possessivo, come per dire: vedi bene che tu sei tra le cose alle quali
tengo di più. Quasi quanto all’Angelo Azzurro che gli mentiva dicendogli
di “augurarsi lunghe notti passate a chiacchierare e dormire”. Mentre
le notte le passava andando a recuperarlo ubriaco nei locali della
Cöte.
Ma lo perdonava e lo accettava, si dice, anche perché andava a trovarla con quella vettura.
La passione per una Lancia e il poterla possedere, roba d’altri
tempi, eleganza entrata nella storia. Quello che è certo è che, negli
anni tra le due Guerre e anche dopo, Remarque fu in buona compagnia nel
gruppo di coloro che potevano coltivare quest’ambizione. Facevano parte
di un’élite che non era il solito club di estimatore come lo si intende
oggi, tipo quelle community di amatori che si ritrovano in appuntamenti
comandati come nelle feste dei coscritti, comunicano tra loro, si
scambiano messaggi e mail da un capo all’altro dell’Italia e del mondo
fino a lontananze che pochi interessi riuscirebbero ad accorciare. Loro
erano altra cosa. Quasi sempre non avevano niente in comune se non il
fatto di essere proprietari di una
Lancia e questo non era motivo
di particolari legami, né volevano esibire uno status o una qualche
eccentricità. Ciò che li accomunava – comunque tenendoli distinti in una
sorta di privacy non ricercata né codificata – era la passione per
quelle vetture che venivano costruite in una fabbrica – laboratorio –
atelier che si trovava a Torino.
Alcuni di loro non sapevano neppure dove fosse Torino, né ritenevano
importante conoscere dove si trovasse quel luogo vagamente collocato
“near Milan”.
La loro attenzione era tutta per quelle Lancia ce avevano un non che
di diverso rispetto alla seriali delle auto che andavano affollando
sempre di più le strade del mondo. E pensare che mancavano ancora
parecchi anni al celebre film di Dino Risi,
Il sorpasso, in cui
un grande Vittorio Gassman sulla costa tirrenica, tra Ostia e
Castiglioncello, stupiva e spaventava un giovane Jean-Luis Trintignant, a
bordo una rombante Lancia Aurelia B24 Spider. Alla quale si rivolgeva
con la sua inconfondibile guasconeria, esortandola “Vai cavallina..”,
per poi rimettersi a cantare
Con le pinne, fucili ed occhiali. E
mancava ancora tanto tempo allo spot pubblicitario di Harrison Ford per
la Lancia Lybra nello splendore palladiana della Valle del Brenta.

Esigenze
commerciali da fine secolo, quelle, che non avevano nulla a che fare
con ciò che si era visto su quelle strade quando ad attraversarle era un
Ernest Hemingway al massimo del successo, presenza
così celebre da essere presa a prestito per gli annuali raduni dei
“Lancisti”. Tra il Gritti di Venezia e le nevi di Cortina nei premi anni
Cinquanta lo scrittore americano amava tornare sui posti Addio alle
armi. E lo faceva guidando una Flaminia di cui andava fiero.
La Flaminia non era stata ancora adottata da
Gronchi
che, nella lussuosa versione 335 Laudaulet disegnata da Battista Pinin
Farina e realizzata in soli quattro esemplari, l’avrebbe scelta per la
prima volta come auto ufficiale della Presidenza della Repubblica nel
1961, in occasione della visita in Italia della regina Elisabetta II
d’Inghilterra. Ma già prima una Lancia Astura, elegantissimo cabriolet
sempre uscito dal laboratorio Pinin, era stata guidata tra gli anni
Trenta e Quaranta dal grande direttore d’orchestra
Arturo Toscanini,
che la prediligeva ad altre vetture. Difficile dire se vi avrebbe
rinunciato sapendo che, versione torpedo di rappresentanza, una Lancia
Astura era stata commissionata da Mussolini.
Magari non lo sapeva o forse sì, comunque non voleva privarsi, come
riferivano i suoi amici, del piacere di quell’oggetto del desiderio che a
quell’epoca era inaccessibile alla stragrande maggioranza degli
italiani.

Poi,
prima che il mondo s’intristisse nei lutti della Seconda guerra
mondiale, la bella Augusta aveva avuto come piloti – e qui il termine è
più che appropriato – niente – meno che Tazio Nuvolari (Nuvola) e
Achille Varzi, che l’alternavano in privato alle loro monoposto da
competizione. Mentre persono
Enzo Ferrari, il drake,
non disdegnava di farsi vedere a bordo di Una Lancia Ardea negli anni
Quaranta perché, come ha avuto modo di dimostrare, a lui non faceva
difetto il gusto per quelle automobili che stavano fuori dalla fila.
Dicono anche che Orson Welles amasse guidare una Lancia sin dall’inizio
del suo “esilio” da Hollywood, nel 1947. “Lo si vedeva dalle parti di
Ronda, sulle strade dell’Andalusia, a bordo di una di quelle auto che
non avevamo mai visto” ricordano da quelle parti dove lui tornava
sovente e dove le sue ceneri riposano nella fattoria dell’amico torero
Antonio Ordonez.

Tra i lancisti celebri ci fu anche
Marcello Mastroianni,
benché non si sia mai accertato quale tra i tanti famosi modelli sia
stato di sua proprietà. Lui ha sempre detto di avere guidato una Lancia,
forse una Zagato o una flaminia convertibile, vicino alla quale lo
ripropongono foto d’epoca. Come quelle che rimandano alla Flaminia sulla
quale side un’inconfondibile Brigitte Bardot o alla Lancia Stratos
guidata da
Alain Delon assieme a Mireille Darc.
E’ probabile che questa persistente inclusione nell’albo d’oro del
marchio torinese di divi della celluloide sia il frutto della costante
contaminazione tra la Lancia e il mondo del cinema, una vicinanza che si
sarebbe poi materializzata nella sponsorizzazione della rassegna del
Lido di Venezia.
Ma
questa è storia recente, e non ha molto a che fare con l’album di
famiglia vero e proprio, quello degli anni d’oro della Lancia che oggi a
Torino ricordano quasi col distacco di chi si affretta a collocare
nell’archivio un pezzo del suo passato. Che meriterebbe di meglio di un
posto nel museo della storia italiana dell’automobile.
E invece i festeggiamenti per i trent’anni della Ypsilon, Lancia
elegante e di straordinario successo, hanno avuto il sapore amaro di un
fine epoca un canto del cigno che fa rimpiangere gli anni ruggenti dei
“grandi” appassionati di quel marchio che ancora negli anni Sessanta
faceva bella mostra di sé nel cuore di San Francisco tra i nomi di Fiat e
Alfa Romeo. Quasi a ricordare agli americani una presenza del made in
Italy che oggi non trova continuità sotto le mentite spoglie della
Chrysler.
Perche le Lancia avranno questo nome sulle strade d’America e ci
vorrà un grande intenditore per capire chiamo parlando del marchio che
affascinanva il mondo della letteratura, del cinema, dello sport, della
musica.
E perche si può anche cambiare spesso si deve, ma è sbagliato
rinunciare a un nome, carico di storia, come quello della Lancia.
Quando molte case automobolistiche, non solo quelle che s’inventano nomi
improbabili e storpiati i città, uomini e cose da appiccicare sui loro
prodotti, farebbe carte false per poter usare quelle sei lettere,
“Lancia”, che conducono a Torino “near Milan”.
(articolo di Salvatore Tropea, apparso su Il Venerdì di Repubblica del 19 Aprile 2015)
Ci piacerebbe aggiungere a questo articolo straordinario anche questi altri illustri personaggi:
- Il poeta Gabriele D’Annunzio era talmente
entusiasta della Lancia Trikappa torpedo, da dedicargli il motto “Parva
igni scintilla meo” (“Una piccola scintilla sufficiente ad
infiammarmi”).
- A bordo della propria Lancia Trikappa, nel 1922, il maestro Giacomo Puccini compì un viaggio di oltre 3.000 km attraverso l’Europa[1].
- Il 21 settembre 1924 re Vittorio Emanuele III
inaugurò la Milano Varese, (ovvero la prima autostrada al mondo lunga
complessivamente 42 Km) percorrendola a bordo della sua Lancia Trikappa.
http://www.savelancia.it/it/2015/07/14/lancia/